Guerre di Rete - Trump, QAnon, elezioni Usa: social media alla prova americana
E poi le novità sul cybercrimine, ransomware e ricerca, 5G
Guerre di Rete - una newsletter di notizie cyber
a cura di Carola Frediani
N.83 - 11 ottobre 2020
Intanto una constatazione. La precedente newsletter - che doveva essere una lista di libri recenti da leggere, una soluzione d’emergenza in una settimana in cui non avevo avuto tempo di seguire l’attualità e di scriverne – è stata accolta molto bene, al di là delle mie aspettative. Grazie a tutti per i suggerimenti, alcuni li ho integrati (potete trovare la lista un po’ aggiornata qua) ma cercando di mantenere l’idea originaria di mettere solo quelli usciti negli ultimi mesi, e con un taglio adatto agli iscritti di questa newsletter (quindi non troppo tecnico e solo su temi qua trattati), altrimenti diventerebbe ingestibile.
(PS segnalo anche un libro che deve ancora uscire ma che ho avuto già per le mani, Il tuo capo è un algoritmo.Contro il lavoro disumano - , - Laterza (in uscita il 22 ottobre – aggiunto anche nella lista
E preciso che il libro di Shoshana Zuboff c’è anche in italiano, Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press, grazie ai duecento lettori che me lo hanno segnalato :DD
Nota personale: prossimo weekend (17-18) sono a Padova alla finale del premio Galileo per la divulgazione scientifica cui concorre, tra i finalisti, il mio libro #Cybercrime.)
Ciò detto se vi vengono in mente ulteriori soluzioni che possano fare da contenuto freddo e da riempitivo per le mie settimane difficili (e vi dico che ce ne saranno), fatemelo sapere. Altre liste di libri? (che so, la top 20 dei libri da leggere su temi cyber mai usciti nella storia, così mi fate litigare con tutti!). Liste di film o documentari? Oppure ci sono temi specifici che vorreste vedere trattati? Cybersicurezza per dummies? (cioè per noi tutti, perché l’essere scaltri o stupidi nella sicurezza è questione di essere vulnerabili o meno, e tutti prima o poi possiamo essere vulnerabili a seconda delle circostanze). Altro? Fatemi sapere qua, o qua su Twitter.
SOCIAL MEDIA E POLITICA
Incitamento all’odio, disinformazione, libertà di espressione: piattaforme sempre più sotto pressione
Come fronteggiare l’odio in Rete? Come garantire la libertà di espressione? Come tutelare la libertà di informazione evitando però di fare da grancassa a notizie false e pericolose?
Su queste domande si apre la newsletter di questa settimana, consapevoli che siamo di fronte a questioni ineludibili eppur aggirate da anni, e che ora i tempi eccezionali, così come una campagna presidenziale americana sempre più lisergica, impongono un maggior sforzo di ragionamento su questi temi da parte di tutti. Partiamo dunque con un caso di decostruzione dell’odio dal basso, senza bisogno di censure. Decostruzione tecnica ma soprattutto ideologica.
Come gli utenti gay di Twitter hanno seppellito di baci i Proud Boys
Dopo che Trump era stato a dir poco ambiguo nel prendere le distanze dai Proud Boys, gruppo di “nazionalisti sciovinisti” bianchi considerato un vero e proprio gruppo d’odio dal Southern Poverty Law Center, è arrivata la reazione da una serie di uomini gay ed esponenti della comunità LGBTQ che hanno deciso di appropriarsi, su Twitter, dell’hashtag #proudboys, twittando insieme allo stesso le proprie foto in atteggiamenti di intimità con altri uomini.
“Che ne dite se i gay si facessero delle foto mentre stanno facendo delle cose molto gay, e poi si taggassero con #ProudBoys”, aveva cinguettato l’attore di Star Trek, George Takei. Detto, fatto. È stato un diluvio di immagini di uomini che si baciavano, si abbracciavano, si sposavano, stavano guancia a guancia, si stringevano insieme ai figli, ai propri animali domestici, e via dicendo (qui su UsaToday una simpatica rassegna del risultato).
Qualcosa di simile era già accaduto a giugno, quando i fan del K-pop (pop coreano) avevano sequestrato l’hashtag suprematista bianco #whitelivesmatter, pubblicando video e immagini delle loro star e seppellendo i tweet del gruppo con un mix di nonsense e messaggi antirazzisti, ricorda NBCnews. Del resto, lo stesso Takei si è proprio appellato ai ragazzini del K-pop e di TikTok per portare a termine la missione. Che alla fine è stata completata con successo.
Facebook mette al bando QAnon
Nel mentre Facebook ha deciso di mettere al bando pagine, gruppi Facebook e account Instagram che rappresentino QAnon, nell’ambito del suo team dedicato alle operazioni sulle organizzazioni pericolose (Dangerous Organizations Operations). Il portavoce di Facebook ha detto che l’azienda ritiene sia necessario limitare la “capacità di QAnon e di Movimenti Sociali Militarizzati di operare e organizzarsi sulla propria piattaforma”.
QAnon è una teoria del complotto (secondo altri la definizione è riduttiva, e la chiamano una nuova ‘religione’ complottista, ne avevo scritto due newsletter fa) concepita ai margini della Rete, cullata e allevata da una parte di sostenitori di Trump, e che in sostanza immagina come Democratici di alto profilo e varie celebrità di Hollywood abbiano creato una cricca di pedofili/satanisti/mangiabambini (letteralmente, non metaforicamente) contro cui The Donald starebbe conducendo una segreta battaglia. I suoi sostenitori sono molto attivi nel diffondere anche disinformazione e bufale sulle attuali elezioni, o sul coronavirus, scrive NBC. In alcuni casi sono perfino passati all’azione, a partire da un famoso episodio legato al Pizzagate, una pizzeria di Washington frequentata dai democratici e presa di mira dai complottisti che un giorno subì un raid armato da parte di un tizio convinto di stare andando a liberare dei bambini nello scantinato della stessa (ne scrivo, per altro, nel libro #Cybercrime). Il Pizzagate è considerato il prodromo delle teorie di QAnon. Nel 2018 era stato arrestato un altro suo seguace, armato, mentre bloccava il traffico su un ponte. Oggi seguaci di QAnon sostengono che l’infezione di Trump da coronavirus sarebbe stata un tentativo di assassinio… Ricordo anche che l’FBI, più di un anno fa, aveva identificato estremisti guidati da teorie del complotto come una minaccia terroristica interna in crescita, e aveva citato QAnon (Yahoo, archivio).
Il giornalismo e le teorie del complotto
E qui veniamo ancora a un punto delicato del rapporto tra disinformazione e informazione. Fino a quando è possibile e auspicabile ignorare un’assurda teoria o quelle che riteniamo delle farneticazioni che si muovono online (se le twitta il presidente di uno Stato o finiscono in prima pagina ovvio che la situazione si fa subito più complicata)? Perché dai tempi di “Do not feed the trolls”, cioè non alimentare, non dare spazio, visibilità, attenzione ai troll, la regola aurea è sempre stata di ignorare finché si può. Ma quando appunto non si può più farlo?
Quando, per dirla con Kevin Roose sul NYT, si supera il “punto di non ritorno dei normali” (normie tipping point, dove normie qui non ha affatto connotazioni spregiative, come capita a volte, ma anzi sono persone sane, che hanno una ricca vita offline ecc)? Ovvero quel limite attraversato il quale anche le persone normali e sane, non infognate nei meandri della Rete, arrivano a conoscenza di teorie assurde, che evidentemente sono riuscite a filtrare in modo carsico come acqua tra social network, radio e blog di influencer connotati e foraggiati politicamente, predicatori in cerca di un gregge, media drogati di clic, per schizzare infine addosso a persone comuni?
Per Roose questo punto di non ritorno esiste, ed è lì che i giornalisti devono iniziare veramente a occuparsi di un tema. Fatemi sapere che ne pensate, resta sicuramente un dibattito aperto.
Personalmente trovo davvero interessante anche l’analisi di Roose su come QAnon sia in grado di depurarsi delle sue fantasie più estreme per insinuarsi con temi e linguaggi più blandi in gruppi di vario tipo, in una sorta di riciclaggio delle proprie idee fondative per renderle più assimilabili e digeribili a un audience mainstream. Anche perché l’ho notato pure io questo fenomeno ed è la chiave di comprensione di movimenti come QAnon a mio avviso.
Facebook rimuove il post di Trump sul Covid-19
Ma la decisione politicamente più rilevante, da parte di Facebook, è sicuramente la cancellazione di un post di Trump, in cui il presidente, da poco uscito dall’ospedale dove era stato ricoverato per il coronavirus, ha scritto che il Covid-19 sarebbe “meno letale” dell’influenza. (No, non lo è affatto, anzi il contrario, come mostrano anche i dati dell’americano Center for Disease Control and Prevention, ripresi anche da Twitter).
“Abbiamo rimosso le informazioni non corrette sulla severità del Covid-19 e abbiamo rimosso questo post”, ha commentato Andy Stone, policy communications manager di Facebook.
Dal suo canto, Twitter non ha tolto l’omologo tweet di Trump ma lo ha nascosto dietro un testo di avvertimento, che spiega come si tratti di informazioni fuorvianti e potenzialmente pericolose. Gli utenti, se ci cliccano sopra, possono però leggerlo.
Twitter, gli auguri di morte, e il doppiopesismo
Più o meno negli stessi giorni Twitter aveva dovuto affrontare un’altra gatta da pelare. Aveva infatti comunicato, in relazione al fatto che Trump fosse risultato positivo al coronavirus, che i tweet che avrebbero sperato o desiderato la morte di qualcuno (o danni fisici gravi) sarebbero stati rimossi. Una precisazione che aveva scatenato però accuse di doppiopesismo da parte di molti utenti, alcuni anche celebri, come la regista Ava DuVernay, che in passato avevano ricevuto minacce e vari auguri di morte senza avere in cambio però la stessa attenzione o qualche altro concreto sostegno da parte della piattaforma.(Guardian). Molte le donne che si sono lamentate al riguardo, ad esempio qua.
Come nota sarcasticamente il giornalista Jason Koebler, in relazione alle “sottigliezze” (chiamiamole così) di comportamento delle varie piattaforme in questi casi, “Twitter dice di sospendere chi twitta di sperare che Trump muoia. Facebook ti lascia augurare la morte a Trump a patto di non taggarlo”.
Al bando gli ads politici su Facebook
Per altro, sempre Facebook ha annunciato di voler mettere al bando le pubblicità politiche (tutte) negli Stati Uniti dopo le elezioni come parte del giro di vite sulla disinformazione (anche Google aveva annunciato una simile mossa qualche settimana fa). Non solo: il social network sta prendendo provvedimenti anche contro l’uso di linguaggio militarizzato in riferimento all’andare ai seggi, cioè cose del tipo invitare “l’esercito di Trump” a fare da “osservatori”. Inoltre Facebook piazzerà notifiche in cima al news feed degli utenti avvisando le persone che non ci sarà ancora un vincitore finché non arriveranno dichiarazioni ufficiali (via Casey Newton).
Facebook ha anche messo al bando la società di marketing che pagava dei teenager per diffondere messaggi pro-Trump senza rivelare la loro affiliazione (ne avevo scritto settimane fa) – WashPost
Prepararsi per il peggio
A me tutto questo sembra il programma di chi sta prendendo in considerazione uno scenario davvero infuocato e pericoloso dopo il 3 novembre, qualcosa di cui avevo scritto due newsletter fa se ricordate.
Sulla stessa linea il giornalista Casey Newton, che scrive nella sua newsletter: “Con la maggior parte dei problemi di moderazione, si lavora per mettere a posto qualcosa che è già rotto. Nel caso delle elezioni 2020, tuttavia, i soggetti principali ci hanno già avvisato delle loro intenzioni. Sappiamo più o meno che, se Trump perderà, lui e i suoi sostenitori dichiareranno che c’è stata una frode, e insisteranno che indipendentemente da ciò che dirà il conteggio dei voti, lui sarà il vero vincitore. Sappiamo che giganti somme di soldi sporchi (dark) sono pronte a riversarsi su tutti i canali disponibili inondandoli di pubblicità in cui si insisterà sul fatto che i vincitori hanno perso e che è in corso un colpo di Stato. Sappiamo che il risultato probabile saranno caos e violenza. Tutto questo è terribile per la democrazia. Ma dal punto di vista di chi lavora per l’integrità delle piattaforme è utile. In poche settimane, il Paese affronterà uno dei periodi più difficili della sua storia. Ma i nostri avversari ci hanno già dato il piano di battaglia. Questo ha permesso a Facebook di identificare le vie più ovvie di attacco, e di agire conseguentemente”.
-> Di questi temi ne ho parlato su EtaBeta- Radio 1 con Irene Pasquetto, Roberta Bracciale, conduce Massimo Cerofolini (si ascolta qua).
Trump e Fox diffusori di cattiva informazione sul voto via posta (più dei social)
Concluderei questa rassegna di notizie sulle piattaforme e la politica con uno studio di Harvard, secondo il quale Donald Trump e Fox News sarebbero stati i maggiori diffusori di cattiva informazione (misinformation) sul voto via posta, molto più dei bot/troll russi o dei post clickbait su Facebook. I social media quindi in questo caso giocherebbero un ruolo secondario. Qui lo studio.
Cambridge Analytica esagerava le proprie capacità
E ancora a proposito di miti da sfatare. L'Autorità Garante britannica per la protezione dei dati personali - l'Information Commissioner's Office (ICO) - ha pubblicato la sua indagine finale su Cambridge Analytica, la società di analisi dei Big Data e di profilazione dell’elettorato attraverso banche dati e social media venuta alla ribalta per il suo controverso ruolo nelle campagne elettorali. Tra le altre conclusioni, l’ICO scrive che la società avrebbe esagerato le proprie capacità e avrebbe semmai utilizzato le stesse tecnologie dei concorrenti. Tipo i famosi 5mila data points (insieme di dati analizzabili) per individuo su 230 milioni di americani? Non pervenuti (TechCrunch).
Chi deve definire i limiti del discorso politico sulle piattaforme?
Le notizie che abbiamo appena visto esemplificano proprio l’impossibile geometria di relazioni tra discorso pubblico, piattaforme, Stati, politica, e comuni cittadini. Relazioni messe costantemente alla prova dalla difficoltà di ricomporre necessità apparentemente contrastanti, come la libertà di espressione, il desiderio di contrastare discorsi e incitamento all’odio, la libertà di informazione, la necessità di non fare da cassa di risonanza a notizie false, e poi le tensioni fra governi e aziende tech, tra i diritti di cittadini e i doveri di utenti che accettano termini di servizio di piattaforme private.
Come scriveva un anno fa Fabio Chiusi su Valigia Blu, “stabilire i confini del dicibile in Rete è una delle sfide cruciali della nostra era”. Ma chi lo stabilisce? In base a quelle leggi o principi? si chiedeva dunque l’autore in un articolo tutto da leggere ancora e soprattutto oggi perché ci sono già delle risposte, complesse, sfumate, parziali, ma ci sono, anche grazie ai rapporti e al lavoro dello Special Rapporteur ONU per la libertà di espressione, David Kaye. Andando al sodo (ma leggetevi tutti i ragionamenti nel pezzo) ecco alcune prescrizioni che, se implementate, “potrebbero davvero migliorare, e da subito, la qualità della nostra comprensione del problema, e forse anche di qualche sua soluzione”:
Gli Stati non possono chiedere alle compagnie tecnologiche di rimuovere ciò che loro non potrebbero rimuovere perché in contrasto con i diritti umani.
Lo Stato deve precisare cosa intende per “odio illegale”, e come si soddisfano i requisiti di legge per affrontarlo.
Filtri preventivi ai contenuti non sono parte della soluzione, ma del problema
Deve esserci sempre una revisione umana della moderazione algoritmica dei contenuti.
I soggetti e le comunità più colpite devono essere le maggiormente coinvolte nel contrasto della specifica forma d’odio che le colpisce.
Le aziende devono adottare policy sull’odio che abbiano come base la normativa internazionale sui diritti umani, e in ogni caso devono fornire una valutazione d’impatto periodica dei loro servizi sui diritti umani.
Quando una policy aziendale devia dalla normativa sui diritti umani deve spiegarlo e giustificarlo prima.
Gli utenti devono poter fare appello in modo “efficace”, “trasparente” e “accessibile” alle decisioni delle piattaforme in tema di moderazione dell’odio, e meritano una risposta “ragionata” e “pubblicamente accessibile”; inoltre, devono essere protetti da abusi del sistema di segnalazione della piattaforma stessa.
Le aziende dovrebbero formare i loro team di moderazione dei contenuti, il loro stesso General Counsel e “in particolare i moderatori di contenuti sul campo” a riconoscere le norme sui diritti umani che il loro lavoro intende proteggere (viste le attuali condizioni di svariati moderatori sul campo, sa di utopia).
Leggi anche: Should Big Tech Be Setting the Terms of Political Speech? - Centre for International Governance Innovation:
LEGGI E AZIENDE TECH
Le 4 Big Tech e la questione antitrust
Intanto, Facebook e le altre grandi piattaform tech (Amazon, Alphabet/Google, Apple) devono affrontare un altro tema emergente, spesso trascurato dall’agenda politica. Il tema delle pratiche anticompetitive e dell’antitrust. Infatti, dopo 16 mesi di indagini su Apple, Amazon, Facebook e Google, una sottocommissione con delega all’antitrust della Camera Usa ha rilasciato le sue conclusioni e raccomandazioni su come riformare la legislazione nell’era digitale. Tra le altre cose il rapporto conclude che le 4 Big Tech godano di un potere di monopolio e suggerisce al Congresso di cambiare le leggi antitrust, un cambio che potrebbe anche determinare una separazione di alcune aziende in più entità. I repubblicani non sembrano così inclini a seguire questa strada però, scrive CNBC.
CYBERSPIONAGGIO
Uno spyware insidioso, in lingua cinese, che ricicla un vecchio leak italiano
Questa è una storia un po’ intricata ma con spunti interessanti, quindi non fatevi spaventare dagli apparenti tecnicismi.
La società di antivirus Kaspersky ha trovato un software malevolo particolarmente insidioso, che prendeva di mira personalità del mondo diplomatico in Asia (ma ci sono tracce in ambienti simili e ong in Africa ed Europa, che si occupano di temi legati alla Corea del Nord).
Perché insidioso? Perché abbastanza raro nella sua capacità di alterare l’UEFI del computer target, ovvero il firmware usato per caricare il sistema operativo del computer (se volete dettagli tecnici più precisi su UEFI qui una spiegazione dettagliata, e anche qua). Come nota Wired US, “poiché l’UEFI sta su un chip della scheda madre del computer fuori dall’hard drive, le infezioni possono persistere anche se l’intero hard drive viene cancellato e il sistema operativo reinstallato, rendendo più difficile individuare o ripulire il malware rispetto alla norma”. In pratica il malware usa l’UEFI per impiantare un secondo software malevolo sull’hard drive, ma anche se questo viene scoperto e cancellato l’UEFI rimane infetta e può di nuovo impiantare un nuovo malware.
Curiosità: secondo i ricercatori questo malware sarebbe basato su uno strumento di hacking noto come VectorEDK, creato anni fa dalla società italiana Hacking Team, che a causa di un attacco informatico e di un leak nel 2015 vide finire online il codice dei suoi software, incluso VectorEDK. Secondo i ricercatori e l’articolo di Wired, gli attaccanti potrebbero essere cinesi (o parlare cinese).
Cosa è interessante di questa storia:
- i leak di software malevoli sono longevi e possono essere usati dai soggetti più diversi (basti pensare al leak dei codici di attacco della Nsa che furono riciclati da altri in due infezioni globali, Wannacry e NotPetya)
- si tratterebbe secondo Kaspersky (qui il loro post) del “secondo caso noto di firmware UEFI malevolo in uso da parte di un attaccante (threat actor) trovato in giro”. Non è chiaro il vettore di attacco, forse accesso fisico (Per inciso in Guerre di Rete - nel libro, non la newsletter - raccontavo in un capitolo le paranoie di chi temeva attacchi che modificassero il boot loader, il programma che carica il kernel del sistema operativo del proprio pc, quando si lasciava il computer incustodito).
5G
Anche i servizi segreti francesi sono preoccupati del 5G (ma una preoccupazione un po’ diversa dalle solite)
L’intelligence francese è preoccupata - scrive L’Express, paywall - che il 5G, la nuova generazione di telefonia mobile, possa rendere più difficile l’uso di dispositivi di sorveglianza come gli IMSI-catcher, impiegati per identificare i telefoni di una certa area (a partire proprio dal codice IMSI che identifica la SIM), e a volte anche per effettuare attacchi che permettano di intercettare contenuti (o ancora veicolare spyware). In realtà è anche una storia vecchia e controversa: si sa da tempo che il 5G prometteva di rendere più difficile questo genere di sorveglianza, “nascondendo”, diciamo così, l’IMSI; d’altra parte erano uscite pure notizie sul fatto che il protocollo 5G ancora presentasse vulnerabilità agli IMSI-catcher (archivio EFF, ma anche Wired US). Vulnerabilità che poi avrebbero dovuto essere chiuse. (Se qualcuno ha conoscenza approfondita e diretta del tema faccia un fischio!)
EUROPOL
Ritratto del cybercrimine al tempo del Covid
Nella nuova normalità imposta dall’emergenza Covid, come si sta muovendo il mondo cybercriminale? Ce lo dice l’ultimo rapporto Europol sull’argomento (il settimo IOCTA annuale). Da un lato soggetti cybercriminali hanno cercato di sfruttare opportunisticamente l’emergenza (come nel caso del phishing a tema Covid e via dicendo), dall’altro hanno intensificato precedenti attività. Tra quelle più propriamente cybercriminali, spiccano anche nel rapporto Europol (e qui in newsletter ne parliamo da tempo) i ransomware, i virus del riscatto che cifrano i file. Questo genere di attacchi sono diventati più sofisticati e mirati, sia contro organizzazioni pubbliche che private, dice Europol. Con l’aggiunta di minacciare anche la vendita online dei dati sottratti (oltre che cifrati). Questo aumenta la pressione sulle vittime affinché paghino. Europol nota anche un aumento di questi attacchi su fornitori di servizi, il che significa un danneggiamento della catena di approvvigionamento delle industrie. Altro trend in crescita piuttosto pericoloso quello del SIM swapping, una pratica in cui gli attaccanti ottengono di farsi intestare la SIM d una vittima per poi prendere il controllo dei suoi account più preziosi (legati al numero di telefono).
Interessante anche l’osservazione Europol secondo cui invece il ciclo di vita dei mercati illegali del Dark Web si sarebbe ridotto, e come non ci sia attualmente un mercato dominante. Infine, va registrato purtroppo anche un aumento dei materiali relativi ad abusi sessuali contro minori in concomitanza con la crisi del Covid, così come la crescita di abusi via livestreaming a causa delle restrizioni sui viaggi.
RANSOMWARE
Un ransowmare ha colpito anche alcune attività di ricerca sul coronavirus
E a proposito di ransomware. Una azienda di Philadelphia, eResearch Technology, che vende software usato in centinaia di trial clinici, tra cui quelli per sviluppare trattamenti e vaccini sul coronavirus, è stata colpita da un ransomware che ha rallentato le attività di questi trial, scrive il NYT.
AI E AZIENDE TECH
Università e ricerca
Chi finanzia oggi la ricerca sull’AI (intelligenza artificiale)? Secondo uno studio, il 58 per cento degli accademici di 4 prominenti università hanno ricevuto grant, fellowship o sostegno finanziario da 14 aziende tech. - WIRED US
CONTACT TRACING
Immuni alla prova d’autunno
È il momento di scaricare l’app Immuni, scrive Martina Pennisi sul Corriere. “Con la curva dei nuovi casi cresce anche quella dei download, che hanno superato i 7 milioni. Dal 1° ottobre hanno scaricato Immuni oltre 350mila persone. 5.870 le notifiche: è il numero di avvisi inviati agli smartphone di chi è entrato in contatto con un positivo. In 357 al cospetto della diagnosi di positività hanno detto di essere in possesso di Immuni e hanno accettato che partissero le notifiche, perché è tutto volontario e anonimizzato: dal download alla decisione di far partire gli avvisi fino alla reazione alla notifica”.
A fronte dei dubbi di chi teme una scarsa reattività del sistema sanitario in caso di notifica della app, cominciano a esserci resoconti di persone per cui le procedure sono filate lisce, come questa: IMMUNI: se la conosci, la scarichi. Ecco come ha funzionato con me.
Ma ci sono anche racconti di situazioni disfunzionali come questo di Ferruccio Sansa (non tanto su Immuni però ma davvero su tutto il sistema sanitario, ASL eccetera)
UE CLOUD
Quali sono le aziende italiane già a bordo del cloud europeo Gaia-X?
Ce lo dice Wired Italia. “Leonardo, Enel, Aruba, Retelit, Confindustria digitale, Cy4Gate: aziende e organizzazioni italiane si mettono in fila per salire a bordo di Gaia-X, il progetto di un cloud europeo avviato da Francia e Germania. Le date da segnare sul calendario sono 18 e 19 novembre, quando, a un anno dal lancio dell’iniziativa, verrà svelata la fondazione che coordinerà i lavori e si apriranno le porte ai nuovi componenti. Nel frattempo le richieste fioccano. A luglio si contavano già in tutta Europa 300 tra aziende, centri di ricerca, università e startup in lizza per entrare a far parte di Gaia-X”.
APPROFONDIMENTI
MEDIA
Come i media dovrebbero coprire le notizie di suicidio - Valigia Blu
MEDIA E RETE
Cosa sappiamo su Jonathan Galindo e la sua presunta sfida online - Valigia Blu
MIGRANTI
Migranti e rifugiati, dieci minacce hi-tech
Strumenti tecnologici sempre più avanzati sono intimamente legati al controllo dei flussi migratori, ma causano discriminazioni e violazioni di diritti e dignità
(Antonella Napolitano su La Via Libera)
FOIA
Uscito il report / manuale di istruzioni FOIA4Journalists 2019 di Transparency.it
Se siete giornalisti interessati a capire come muovervi per fare una richiesta di accesso alle informazioni in Italia questo è quello che fa per voi (report).
Uno spunto dallo stesso: “Il Freedom of Information Act è uno strumento in grado di arrivare con la forma dove spesso la sostanza del mestiere fatica a giungere. Tuttavia ci sono ampi margini di miglioramento della legge: devono assolutamente e in maniera urgente essere implementate misure per la tutela della privacy del richiedente quando in gioco entra un soggetto terzo oltre al richiedente stesso e alla Pubblica Amministrazione. Discorso analogo per le fasi di riesame e ricorso: ancora oggi è troppo farraginoso il primo e soprattutto dispendioso il secondo. I diritti non si comprano”.
CYBER E SOCIETA’
Cos’è la CyberPeace, in un articolo dell’omonimo istituto la cui missione è promuovere la stabilità nel cyberspazio
LAVORATORI DIGITALI
Viaggio al termine del servizio clienti, esternalizzato per conto di colossi come Aribnb e Disney. Non un viaggio simpatico. Inchiesta di ProPublica
E-PRIVACY
Si è tenuto da poco il convegno di e-Privacy, punto di riferimento per chi in Italia si occupa, appunto, di privacy. Potete rivedere gli interventi qua su YouTube.
Qua il sito
DIGITALE E POLITICA
Il declino delle democrazie nel segno del digitale: chi le salverà? - Agenda Digitale
USA
Tutto su BLM
Black Lives Matter, il movimento di protesta contro la violenza della polizia e il razzismo sistemico – approfondimento di Valigia Blu per capire cos’è e come è nato Black Lives Matter, da leggere
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