Guerre di Rete - Pensavo fosse un’AGI e invece era un’API
Poi TikTok sempre più bannata dai dispositivi governativi. Poi il movimento per il diritto alla riparazione.
(Nella foto Sam Altman, Ceo di OpenAI - Wikimedia)
Guerre di Rete - una newsletter di notizie cyber
a cura di Carola Frediani
N.153 - 5 marzo 2023
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In più, a marzo il progetto si è ingrandito con un sito indipendente e noprofit di informazione cyber, GuerrediRete.it. Qui spieghiamo il progetto. Qui l’editoriale di lancio del sito.
In questo numero:
- TikTok. L’Europa è scesa in campo. I prossimi saranno gli Stati?
- Apple agita il movimento sul diritto alla riparazione
- OpenAI, tra AGI e API
- Altro
TIKTOK
L’Europa è scesa in campo. I prossimi saranno gli Stati?
Dopo gli Usa, TikTok è entrata nel mirino delle istituzioni Ue. Prima era arrivata la decisione della Commissione europea: app sospesa dai dispositivi di lavoro dei dipendenti dell’esecutivo europeo (e dai telefoni personali ma in realtà autorizzati ad accedere ad applicazioni di lavoro). “Per proteggere i dati della Commissione e aumentare la sua sicurezza informatica, il corporate management board della Commissione europea ha deciso di sospendere l'applicazione TikTok sui dispositivi aziendali e sui dispositivi personali registrati per accedere ai servizi mobili della Commissione", si legge nella comunicazione del 23 febbraio (via Euractiv). I dipendenti dovranno adeguarsi entro il 15 marzo. “Si tratta - scrive Wired Italia - dell’ultima stretta delle istituzioni occidentali contro TikTok e la prima misura assunta contro il social cinese dall’Unione europea e in Unione europea, dopo che i commissari europei per la giustizia, la trasparenza, la concorrenza e gli affari interni hanno avvertito Shou Zi Chew, amministratore delegato dell’app, di rispettare appieno il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr)”. Alla Commissione si era poi aggiunto anche il servizio diplomatico dell’Ue (EEAS).
In un precedente incontro di gennaio tra i commissari e l’ad di TikTok, Shou Zi Chew, si sarebbe infatti discusso dell’adeguamento del social alle leggi europee sulla protezione dei dati degli utenti (vedi Gdpr) e sul mercato digitale. Il che però rende il quadro un po’ confuso, mescolando Gdpr e protezione dei dati degli utenti in generale e rischi di sicurezza di tipo geopolitico (rischio di spionaggio su figure particolarmente in vista).
Negli Stati Uniti TikTok è stato recentemente vietato sui dispositivi governativi a livello statale e federale, decisione poi seguita dal Canada. Sebbene nessun governo europeo abbia ancora ricalcato precisamente le orme statunitensi, ai funzionari olandesi è stato sconsigliato l'uso dell'app cinese.
Va ricordato che a dicembre un'indagine interna alla società madre di TikTok, ByteDance, aveva confermato alcune rivelazioni giornalistiche, ovvero che diversi dipendenti avevano avuto accesso ai dati di TikTok di alcuni giornalisti statunitensi e di un "piccolo numero" di altre persone a loro collegate. I dati a cui avevano avuto accesso includevano gli indirizzi IP dei reporter, utilizzati per verificare se fossero stati fisicamente vicini ad alcuni dipendenti di TikTok sospettati di aver divulgato informazioni alla stampa. Malgrado l’indagine interna e il licenziamento dei dipendenti interessati, la notizia non ha aiutato a instaurare un clima di fiducia con le istituzioni occidentali - anche se, come ricordava la stessa Forbes che aveva per prima individuato tracce di questa storia, non sarebbe la prima volta che un’azienda tech (non cinese in quel caso) viene accusata di aver utilizzato strumenti interni per localizzare giornalisti e politici.
Arriviamo dunque a questo martedì, quando il Parlamento europeo ha inviato una email ai dipendenti dicendo che dovranno eliminare TikTok dai dispositivi di lavoro, raccomandando anche ai parlamentari europei di cancellarla dai loro telefoni. “Seguendo le orme della Commissione europea e del Consiglio dell'UE, la Presidente del Parlamento Roberta Metsola e il Segretario generale Alessandro Chiocchetti - scrive Politico - hanno comunicato a circa 8.000 funzionari che dovranno disinstallare TikTok dai dispositivi aziendali come cellulari e tablet entro il 20 marzo. Secondo la nota, è inoltre "fortemente raccomandato" che gli eurodeputati, il loro personale e gli assistenti accreditati rimuovano TikTok dai loro dispositivi personali”.
Più o meno nelle stesse ore il parlamento danese ha invitato i politici e il personale a cancellare TikTok dai telefoni di lavoro come misura di sicurezza informatica, affermando che "esiste un rischio di spionaggio". Il Parlamento ha agito in seguito a una valutazione del Centro danese per la sicurezza informatica. L'agenzia fa parte dei servizi di intelligence esteri della Danimarca.
In Germania vari ministeri hanno vietato l’app dai dispositivi di lavoro.
Ho l’impressione che vedremo altri annunci di questo tipo a breve.
Siccome però negli Stati Uniti il dibattito politico è già arrivato oltre, a considerare un possibile ban di TikTok non solo da dispositivi governativi ma anche dall’intera nazione, ora sta intervenendo un crescente gruppo di esperti digitali e attivisti dei diritti civili che si oppongono a un simile scenario. “I sostenitori [di questa fronda]sostengono che le proposte di blocco di TikTok violerebbero i diritti degli utenti a esprimersi online e distrarrebbero da dibattiti più ampi sulla privacy”, scrive il WashPost. Inoltre verrebbe fortemente indebolita la posizione degli Stati Uniti nel momento in cui voglia criticare la censura di altri Stati.
Ne ho parlato alla radio, qui su RaiRadio3. E su RaiRadio1.
Nel mentre, se volete ripercorrere come TikTok è diventata da app dei ragazzini a una questione di Stati, potete leggere il nostro articolo su Guerre di Rete (a firma di Irene Doda). Oppure come TikTok è stato usato per coprire la guerra in Ucraina (scrive Andrea Nepori).
DIRITTO ALLA RIPARAZIONE
Apple agita il movimento sul diritto alla riparazione
I nuovi MacBook complicano la possibilità di riutilizzare dispositivi. Ma anche Microsoft e Google non ne escono bene.
Scrive Federico Nejrotti sul nostro sito Guerre di Rete: “Nei giorni scorsi, l’associazione americana PIRG ha pubblicato un’analisi e scheda di come diversi produttori di laptop e cellulari si posizionino rispetto alla possibilità di riparare i loro dispositivi. A uscirne peggio sono Apple, Microsoft, e Google.
Le aziende tecnologiche vengono votate per la loro capacità di progettare dispositivi riparabili e di assistere i propri clienti in questo senso. Voti alti se lo fai, voti bassi se non lo fai. Prima di tutto, dall’analisi emergono dei punti generali che descrivono l’attuale stato di salute del diritto alla riparazione: a) i produttori di tecnologia si stanno lentamente muovendo nella giusta direzione, b) un dispositivo costoso non equivale sempre a un dispositivo riparabile, c) i produttori devono migliorare la possibilità per i clienti di acquistare componenti sostitutive e di accedere alle schede tecniche dei dispositivi, d) le aziende stanno attivamente facendo lobbying contro le riforme a favore del diritto alla riparazione.
A partire da questo quadro generale, che descrive un’industria che si sta lentamente aprendo al diritto alla riparazione ma che, al tempo stesso, cerca attivamente di rallentare questo processo, ci sono delle note di merito e demerito. “Dell ha ricevuto il punteggio più alto per i laptop, con una B+. Anche Asus è arrivata a B+, mentre HP ha preso una B. Acer e Lenovo invece una B-. Microsoft una D+ e Apple una D-,” si legge nell’analisi di PIRG. Per quanto riguarda i telefoni, invece, Motorola continua a condurre la classifica con una B+, poi Samsung con una C, Google con una D+ e Apple con una D – migliorando la F presa nel 2021.”
AI SAGA
Pensavo fosse un’AGI e invece era un’API
OpenAI - l’organizzazione dietro al chatbot di AI generativa ChatGPT - dopo il lancio a febbraio di un servizio premium, ChatGPT Plus, ora ha introdotto un'API (un’interfaccia che permette a dei servizi di comunicare con altri) che consentirà a qualsiasi azienda di integrare la tecnologia ChatGPT nelle proprie applicazioni, siti web, prodotti e servizi.
Al prezzo di 0,002 dollari per 1.000 token (pari a circa 750 parole), l'API si propone di dare vita a una serie di nuove esperienze d’uso, anche in applicazioni non di chat. Snap, Quizlet, Instacart e Shopify sono tra i primi utilizzatori, riferisce TechCrunch. Ad esempio, Shopify starebbe utilizzando l'API di ChatGPT per creare un assistente personalizzato per i consigli sugli acquisti, e Instacart per creare Ask Instacart, un servizio che consentirà ai clienti di chiedere informazioni sul cibo e di ottenere risposte "acquistabili" basate sui dati dei prodotti dei partner commerciali dell'azienda.
Questo sul piano del business. Siccome però restare su questo piano rischia a lungo andare di essere deludente rispetto alle enormi aspettative create attorno alla corsa all’intelligenza artificiale, ci ha pensato Sam Altman, il Ceo di OpenAI, a rilanciare sul piano ideale con un post modestamente e pacatamente intitolato “Pianificare per l’Intelligenza Artificiale Generale (AGI) e oltre”. Ricordo che con AGI ci si riferisce a un concetto piuttosto controverso e fumoso, ovvero un’intelligenza artificiale “generale” o “forte”, che possa “emulare l’intelligenza umana” o “raggiungere appieno le capacità cognitive umane” (da definizioni di vari studi), o magari anche superarle.
“La nostra missione è garantire che l'intelligenza artificiale generale - sistemi di intelligenza artificiale che sono generalmente più intelligenti degli esseri umani - sia di beneficio per tutta l'umanità”, esordisce Altman. In effetti questa era la missione iniziale di OpenAI, cofondata da Altman, Musk, Peter Thiel e altri nel 2015. Ma, come nota un pungente articolo di Vice, “ora, otto anni dopo, ci troviamo di fronte a un'azienda che non è trasparente né guidata da un impatto umano positivo, ma che invece, come hanno sostenuto molti critici tra cui il co-fondatore Musk [poi allontanatosi, ndr], è alimentata dalla velocità e dal profitto. E questa azienda sta dando vita a una tecnologia che, per quanto imperfetta, è comunque destinata ad aumentare alcuni elementi dell'automazione del posto di lavoro a spese dei dipendenti umani”.
Musk vuole di nuovo scendere in campo sul’AI?
Intanto, nelle ultime settimane Elon Musk si è rivolto a ricercatori di intelligenza artificiale per formare un nuovo laboratorio di ricerca per sviluppare un'alternativa a ChatGPT. Negli ultimi mesi Musk ha ripetutamente criticato OpenAI per aver inserito delle protezioni che impediscono allo strumento di generare testi offensivi. L’anno scorso aveva suggerito che la tecnologia di OpenAI fosse un esempio di "addestramento dell'intelligenza artificiale per essere woke"(intraducibile termine usato dalla destra americana in modo dispregiativo per indicare degli intolleranti e moralisti attivisti progressisti, ndr). I suoi commenti implicano che un chatbot rivale avrebbe meno restrizioni su argomenti divisivi rispetto a ChatGPT, riferisce The Information.
Musk ha co-fondato OpenAI nel 2015 ma da allora ha tagliato i ponti con la startup, allontanandosi nel 2018 per divergenze e per concentrarsi sulle sue altre attività, almeno a suo dire.
Nel mentre Mark Zuckerberg ha dichiarato che Meta sta costruendo degli strumenti basati sull'intelligenza artificiale per WhatsApp, Messenger e Instagram (Verge)
La carica delle startup di AI generativa
Insomma, non passa un giorno che non ci sia un annuncio di qualche tipo da parte delle grandi aziende tech che si stanno contendendo la scena dell’AI generativa nella corsa all’oro di cui scrivevo qualche tempo fa; o che non ci sia qualche startup che raccolga finanziamenti, lanci o rilanci un prodotto.
Ora l’Economist parla di “esplosione del Cambriano” (o il Bing Bang biologico, ovvero il periodo in cui la Terra passò in breve “dall’essere popolata da organismi semplici e unicellulari a ospitare una multiforme varietà di forme di vita”): “Pete Flint di NFX, un'altra società di venture capital, conta oggi più di 500 startup di AI generativa. Finora hanno raccolto collettivamente più di 11 miliardi di dollari, escludendo OpenAI”, scrive, ricordando però anche quello che raccontavo qua: che pendono ancora molte incognite, anche legali, su questi servizi, tra questioni di copyright e rischi per la sicurezza.
“Per gli investitori più avversi al rischio - conclude l’Economist - la scommessa più sicura al momento è quella sui fornitori dell'ampia potenza di calcolo necessaria per addestrare ed eseguire i modelli di fondazione. Il prezzo delle azioni di Nvidia, che progetta chip utili per le applicazioni AI, è salito del 60% quest'anno. Anche i servizi di cloud computing e i proprietari di data center si stanno sfregando le mani”.
Contro l’ottimizzazione predittiva
In questa esplosione cambriana, governi, banche e datori di lavoro utilizzano strumenti di AI per prendere decisioni su individui in base a delle previsioni sul loro comportamento futuro. La chiamano ottimizzazione predittiva e la usano per decidere chi “indagare per maltrattamento di minori, chi approvare per un prestito e chi assumere. Le aziende vendono l'ottimizzazione predittiva con la promessa di decisioni più accurate, eque ed efficienti. Sostengono che elimini completamente la discrezionalità umana. E poiché l'ottimizzazione predittiva si basa interamente sui dati esistenti, è economica: non sono necessari dati aggiuntivi”, scrivono dei ricercatori di Princeton, fra cui Arvind Narayanan. Ma, ed è un grande pesante ma, “queste applicazioni nella stragrande maggioranza dei casi non funzionano come promesso”.
Paper. Sito.
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