[Guerre di Rete - newsletter] Ancora su didattica a distanza
Coronavirus e monitoraggio statale; bot, troll e la frontiera africana
Guerre di Rete - una newsletter di notizie cyber
a cura di Carola Frediani
N.62 - 15 marzo 2020
Oggi si parla di:
- consigli per la didattica a distanza in emergenza
- coronavirus, gli Stati e la tentazione del monitoraggio (anche dopo)
- bot, troll e la frontiera africana
- Chelsea Manning
- NOVITA’: in fondo una breve storia audio “sull’inventore” dei ransomware
-altro
CORONAVIRUS E SCUOLE
(Questo articolo è apparso prima su Valigia blu dove potete leggerlo più agevolmente)
Consigli molto pratici per la didattica a distanza e in emergenza
La scorsa settimana ho raccontato come si stava muovendo la scuola italiana, improvvisamente divenuta una forzata del digitale, come neanche i più gasati fan della Silicon Valley avrebbero potuto auspicare in seguito alle misure restrittive varate dal Governo per contrastare l'epidemia del nuovo Coronavirus. Tutta la didattica che d’un colpo, e in condizioni disagevoli per tutti (anche per gli insegnanti, oltre che per gli studenti) deve essere trapiantata online. Uno sforzo titanico che farebbe sudare perfino una azienda tech, figuriamoci la nostra scuola. E avevo quindi scritto di una serie di strumenti che potevano essere utili (attenzione, in fondo a questo articolo troverete novità anche sugli strumenti, con una lista aggiornata).
Quando si parte con G Suite e si arriva a Discord
Oggi torno di nuovo sul tema, per misurare la distanza tra il dire e il fare, la teoria e la pratica, il “tool” figo con duecento funzionalità che ti fa sentire un cyberguru e il computer che ti si inchioda subito dopo averlo scaricato. Un insegnante del Sud, prossimo alla pensione ma esperto di digitale e che preferisce non essere nominato, mi scrive ad esempio della difficoltà a usare G Suite, uno degli strumenti individuati dalla scuola italiana per la didattica a distanza, perché avrebbe la “sua trafila di firme (con la biro, non digitali) e di domandine su moduli fotocopiati, che con la segreteria in smart working è una sfida considerevole. Beninteso, non per Google, ma per la burocrazia della scuola”. E quindi: “mi sa che mi accontento di Jitsi”.
Ma anche con Jitsi, strumento che consente di fare videochiamate di gruppo, quindi videolezioni in diretta, non va proprio liscia. Funziona per venti minuti, mi scrive l’insegnante, ma poi inizia a buttare fuori il titolare dalla chat, costringendo tutti e 16 gli studenti a ricollegarsi. “Tipico esempio di risorse limitate in banda, e approssimative nella gestione delle anomalie”, mi scrive. “Erano le 11 quando abbiamo deciso (su Whatsapp, in parallelo costante) di lasciare perdere. Siamo passati su una chat audio (non è solo audio, ma può bastare) suggerita dagli alunni. Si chiama Discord/Noway, usata dai ragazzi come canale di servizio mentre giocano a Fortnite”.
Gruppi su Telegram, videoripassi
Altri insegnanti, come Danila Leonori che insegna in un ITIS, hanno affiancato ai metodi convenzionali altri canali, ad esempio un gruppo di classe Telegram. “Un gruppo nel quale entrano su base volontaria, dove do delucidazioni sui vari compiti, ma dove sono in grado di mantenere uno stretto contatto con loro e ascoltare i loro problemi. È un'età particolare. Molti si ritrovano a casa da soli tutto il giorno e il rischio è quello che passino le giornate sul divano, immersi in un'angosciante realtà”. Leonori ha anche proposto di fare delle videolezioni di ripasso. “Non devono apparire in video, ovviamente, ma ciascuno di loro si può concentrare su un argomento di qualsiasi materia (non solo delle mie) che conosce bene, per poter aiutare gli altri. Vediamo quale sarà la risposta”.
Il divario digitale e le altre dolenti note
Poi c’è chi si confronta semplicemente col fatto che non tutti gli studenti abbiano un computer, tablet, connessione adeguate. Per cui, anche chi riesce a usare vari strumenti, deve fare i conti con una parte della classe che non ce la fa. “Noi a scuola usiamo Classroom (parte di G Suite for Education, ndr) - mi dice un’insegnante delle medie in Piemonte - direi che è adeguato alla nostra utenza. Il problema è sempre che se va bene riusciremo a coinvolgere il 70 per cento degli alunni”.
Come appare dalle testimonianze raccolte, gli insegnanti si stanno scontrando, oltre che con l’emergenza Coronavirus che non ha permesso di pianificare prima la formazione a distanza, con una serie di altri problemi: burocrazia (ci sono regole da seguire e pratiche da aspettare); stabilità, diffusione e adeguatezza della connessione internet e degli strumenti a disposizione; divario digitale delle famiglie e degli studenti (non tutti hanno un pc o una buona connessione), con il rischio che questo aumenti anche il divario formativo fra studenti digitalizzati e non. (Per altro ora Il Ministero dell’Istruzione si sta attivando per sapere chi fra gli studenti è senza computer o tablet).
C’è poi un’altra grossa questione: come valutare gli studenti e come gestire le presenze loro e degli insegnanti. “Non abbiamo direttive precise e comunque la rigiri è un rompicapo”, mi dice una insegnante di Genova. “Perché giustamente ci è stato detto di non contare le presenza degli studenti, ma nello stesso tempo di firmare le nostre ore di presenza. Alcuni insegnanti si stanno segnando le presenze dei ragazzi in modo ufficioso. Il punto è che ogni dirigente si muove in autonomia e nessuno di noi è sicuro di fare bene. Come posso segnare assente uno studente che non riesce a collegarsi?”.
I consigli per farcela, nonostante tutto
Ecco quindi alcuni consigli per chi fa più fatica e si scontra con alcuni (o con tutti) di questi problemi:
Affiancate ai canali ufficiali (registri elettronici come Classe Viva ecc) canali non ufficiali con cui far circolare più facilmente informazioni, compiti e in ultima analisi il rapporto con gli studenti. In pratica: potete caricare immagini, fogli, lezioni sul sito ufficiale, ma nel contempo potreste duplicarli su una cartella online condivisa con i membri della classe (o loro genitori) come Google Drive (sappiamo che le scuole possono usare G Suite for Education ma in molti casi ancora non è stato attivato). O ancora Dropbox o OneDrive - o analoghe soluzioni open source come NextCloud o Aurora Files o Seafile Pro (qui trovate anche un elenco di soluzioni open source, ritengo però che in molti casi richiedano maggiore familiarità col digitale, in alcuni casi dovete installarli, gestirli, e il tutto in tempi brevi, insomma fatelo solo se siete esperti).
Senza dimenticare (ne avevo scritto la scorsa settimana) che ci sono piattaforme per la didattica che integrano varie funzioni, come WeSchool ed Edmodo.Individuate un “tech genius” (alla Apple) della classe - idealmente uno studente, ma anche un genitore, un insegnante - più abile e disponibile di altri e chiedetegli di occuparsi degli aspetti tecnici e di fare da tutoring a chi ha problemi. È una grande occasione di responsabilizzazione e crescita per uno studente tra l’altro.
Privilegiate il low tech, specie se avete la percezione che la vostra scuola, classe, o voi stessi non abbiate le risorse per far funzionare bene soluzioni più sofisticate. Siamo in emergenza, e questa non è una gara a chi è più bravo col digitale, e se alcuni erano già più avanti e oggi fanno lezione con gli ologrammi e appaiono nel salotto degli studenti come il capitano Kirk di Star Trek, buon per loro. Ma l’obiettivo resta quello di proseguire la didattica, nel migliore dei modi concretamente possibili. Trovate il vostro, ma senza chiusure mentali. Esempi? Non riuscite a fare videolezioni in diretta? Registratele e poi distribuitele (qua come creare/inviare video in modalità privata con YouTube, Whatsapp, Telegram e altre piattaforme; e per la registrazione video basta uno smartphone alla fine). Non riuscite a fare una videoregistrazione? Fate un audio. Basta prendere il telefono, aprire un programma di registrazione audio (come Memo Vocali su iPhone) e spiegare un argomento con il libro/fogli/computer davanti. Non dilungatevi troppo coi tempi, e piuttosto fate più audio brevi separati su argomenti specifici. Non fate le chiacchierate al caminetto di Roosevelt! Poi inviate l’audio insieme alle pagine.
Dominate il tempo. Lezioni in diretta aiutano molto ad avvicinarsi alla didattica in classe, e sono ottime. Ma se le fate, ricordate che ci sono studenti che potrebbero non riuscire a collegarsi. Quindi registratele se potete, in modo da avere la stessa lezione in diretta e in differita. Tra l’altro permette a uno studente di ripassare o rivedere qualcosa che non ha capito. Ad esempio, Zoom, strumento per fare videochiamate di gruppo di cui abbiamo parlato la scorsa volta (e che trovate nella lista in fondo) permette anche di registrare il video (qui le istruzioni in italiano e inglese).
Tenetevi in contatto diretto con gli studenti. Create un gruppo su Whatsapp o su Telegram (come fare: istruzioni): quest’ultimo ha più funzioni che potrebbero essere utili al vostro caso, ad esempio si possono fare sondaggi; o un gruppo chiuso su Facebook (come fare) o su altri social. Se i vostri studenti sono grandicelli, potreste provare un approccio più professionale con Slack, molto usato in ambienti di lavoro (c’è una versione base gratuita).
Anche qui esistono alternative open ai social, come Diaspora o Mastodon, ma onestamente la vedrai più come una sperimentazione in questo momento, magari per fare una riflessione con gli studenti più grandi sul tema della proprietà dei dati e della decentralizzazione delle piattaforme, ma solo per chi se la sente o già ha dimestichezza. Partite con quello che è semplice/noto per voi e già usato dagli studenti, e col tempo scalate a strumenti più sofisticati. Se i vostri studenti sono bambini, inviate audio/video ai genitori/rappresentanti per farli vedere ai figli; anche gli audio dai più piccoli sono molto apprezzati e più motivanti di una pagina di libro. (Per inciso, mandare messaggi è utile anche se siete allenatori di una squadra o un gruppo di atleti. C’è chi lo sta facendo, mantenendo un contatto coi ragazzi, e dando eventuali indicazioni sportive - ad esempio come fare qualche esercizio in casa)Evitate quando possibile la moltiplicazione delle fotografie. A ogni pagina fotografata e inviata agli studenti un toner muore. Inoltre non date affatto per scontato non solo che tutti a casa abbiano un computer, ma soprattutto che tutti a casa abbiano una stampante! Cercate anche alternative in cui non sia necessario stampare. Se avete riferimenti online, date sempre il link.
Usate sistemi per coordinarvi online su eventuali turni, orari, lezioni, web meeting con gli altri insegnanti e con gli studenti, evitando il ping pong di messaggi. Uno dei più semplici è Doodle (ha una prova gratuita, poi però 3,50 al mese). Del tutto gratuito, e senza iscrizioni, ma un po’ più farraginoso è Dudle. Non male, sempre gratuito e di facile accesso, Framadate (permette di fare anche sondaggi, non solo di accordarsi su un appuntamento)
Infine, in questo documento online visibile a tutti - Scuola a distanza: strumenti - ho raccolto gli strumenti che avevo messo la scorsa settimana più altri nuovi che ho trovato o che mi avete segnalato.
Leggi anche la puntata precedente: Nuovo coronavirus e la sfida digitale per la scuola italiana
CORONAVIRUS E TECH
La tentazione del monitoraggio in Italia
Sulla protezione dei dati, in Italia mancano tutele normative sia durante che dopo l’emergenza.
Nel decreto legge dello scorso 9 marzo “manca una clausola di salvaguardia. E bisogna inserirla prima che venga convertito in legge”, avverte Luca Bolognini, presidente dell’Istituto per la privacy”, su Business Insider Italia. “Uno dei rischi è che gli strumenti di controllo dei contagi utilizzati durante questo periodo non vengano poi “disattivati” non solo dopo, ma anche in una fase meno acuta dell’epidemia”. Parere simile di Emilio Tosi, professore di Diritto Privato Università degli Studi di Milano Bicocca: “è necessario che il governo, più in generale il parlamento in sede di conversione del decreto, fornisca precise garanzie di cancellazione o anonimizzazione di questi dati in futuro”
E in Europa
Il tema si pone anche a livello europeo. Anche perché c’è chi sta seguendo un modello cinese o sudcoreano. Ricercatori di una scuola medica tedesca di Hannover, insieme a una società di Amburgo, Ubilabs, stanno sviluppando una app di tracciamento e monitoraggio delle persone (attraverso il Gps dei telefoni) basata proprio su un esempio sudcoreano, anche se insistono sul fatto che la loro sarebbe più attenta alla privacy. E che comunque i dati sarebbero volontari, di contagiati e non. “In base alla posizione dei proprietari negli ultimi 14 giorni, viene stabilito se possono essere stati in contatto con persone infette”, scrive Neuste Nachrichten. Inoltre “una mappa interattiva mostra le aree con alti tassi di infezione che possono essere evitate dall'utente”. In un’Europa in cui l’emergenza coronavirus si sta allargando, la tentazione di adottare tecnologie di monitoraggio invasive crescerà, scrive Politico.
Un nuovo strumento di controllo è per sempre
Intanto in Cina, mentre i numeri dei contagi di coronavirus stanno scendendo, molti si chiedono se le misure drastiche di monitoraggio e tracciamento degli abitanti adottate (la cui efficacia è per altro contestata) debbano ancora restare in piedi. E alcuni ritengono che sia un’occasione per stringere ancora di più le maglie del controllo sociale. The Guardian
App iraniana rimossa
Invece in Iran Google ha rimosso una app Android sviluppata dal governo del Paese per testare e monitorare le infezioni da coronavirus. Apparentemente la motivazione è legata, dice Zdnet, ad affermazioni fuorvianti, cioè all’idea che la app potesse individuare casi di coronavirus attraverso un questionario sui sintomi. Ma la preoccupazione era anche che questa potesse essere usata dal governo iraniano come un ulteriore mezzo di sorveglianza della popolazione. L’app infatti, chiamata AC19, sostiene di poter individuare se una persona è infetta. Una volta scaricata, e verificato il numero di telefono, chiede il permesso di inviare i dati di geolocalizzazione al governo (ma, come spiega Vice, la richiesta di permesso per varie ragioni spesso non appare o non è compresa).
Usa, coronavirus e il divario digitale
Negli Stati Uniti il coronavirus, obbligando a spostare online una serie di attività, esporrà il divario digitale tra diverse fasce sociali del Paese (Axios)
Apple chiude i negozi tranne che in un Paese. No, non sono gli Usa
Come misura precauzionale per la diffusione del coronavirus, Apple ha chiuso i suoi negozi in tutto il mondo fino al 27 marzo. Tranne che in Cina (dove li ha riaperti da poco). Per chi ha bisogno di assistenza: support.apple.com
The Verge
Cybercriminali e l’esca coronavirus
Cybercriminali stanno usando una dashborard interattiva sulle infezioni e morti da coronavirus prodotta dalla Johns Hopkins University come esca in siti ed email malevole, segnala Krebs On Security. D’altra parte anche la società di cybersicurezza Recorded Future segnalava in questi giorni il proliferare di domini a tema coronavirus con possibili utilizzi malevoli. Prima di cliccare su qualsiasi sito non ufficiale sul coronavirus che vi arriva in una email, valutate bene da dove arriva, di che si tratta e se sia legittimo (Forbes).
BOT E TROLL
Profili finti: dalla Russia al Ghana con furore
Facebook, Twitter e la CNN, in indagini autonome ma coordinate, hanno individuato una nuova campagna di profili finti, bot, e troll sui social media che prendeva di mira gli Stati Uniti. E non solo avrebbe legami con l’IRA (Internet Research Agency), la società di San Pietroburgo, collegata all’oligarca russo Yevgeny Prigozhin, che era già stata individuata dal governo americano come uno degli attori della disinformazione sui social nelle elezioni americane del 2016 e anche nel periodo successivo. Ma, e qui arriva la particolarità, avrebbe sede in Africa, in particolare in Ghana e in Nigeria. Questa rete era ancora agli inizi, ed era gestita da persone del posto, “alcune consapevoli e altre no, in Ghana e Nigeria, per conto di individui in Russia”, scrive Facebook nel suo report, aggiungendo di aver rimosso 49 account, e 69 pagine Facebook, oltre che 85 profili Instagram (Twitter ha eliminato 71 account). Numeri non eccezionali, come si diceva prima, e appunto una campagna ancora in fase iniziale.
Tuttavia quello che rende più interessante la notizia è il reportage della CNN che descrive la realtà sul campo, molto simile a precedenti inchieste sui gruppi africani che operano scam e truffe, come quelle “romantiche” (romance scam) sui social. Anzi, sarebbe interessante capire se non ci sia una sovrapposizione o riconversione dei laboratori di scam in battaglioni di disinformazione e propaganda per conto terzi.
La base dell’operazione stava in una villetta (in un quartiere residenziale di Accra, la capitale del Ghana), affittata da un’organizzazione chiamata Eliminating Barriers for the Liberation of Africa (EBLA), gestita da un ghanese che vive in Russia, che stava mettendo in piedi una unità simile anche a Lagos, in NIgeria.
Nella villetta ad Accra, racconta CNN che ha anche visitato il posto ma solo dopo che il 6 febbraio è stato sgomberato da un raid della polizia locale, lavoravano 16 ghanesi, tra i 20-30 anni, alcuni vivevano gratis in un appartamento vicino. Avevano ricevuto dei cellulari, non dei laptop, e comunicavano con gli organizzatori attraverso un gruppo Telegram. Un partecipante sentito dalla CNN ha raccontato che ricevevano temi e indicazioni su cui postare. “Ricevi storie sulla comunità LGBT, o sulla brutalità della polizia ecc, a seconda di quello su cui stai lavorando”.
Secondo Facebook, chi gestisce questa operazione avrebbe legami con individui associati alla passata attività dell’IRA.
CHELSEA MANNING
Manning libera
L’attivista e whistleblower Chelsea Manning ha tentato il suicidio pochi giorni fa. Si trovava di nuovo da mesi in carcere per essersi rifiutata di testimoniare in un grand jury contro Julian Assange. Tuttavia subito dopo, il 12 marzo, un giudice ha stabilito che non deve più restare in prigione, dato che si è sciolto il grand jury. Dovrà però ancora pagare una cifra esorbitante, 256mila dollari. Politico - The Intercept
Anche l’hacker e attivista Jeremy Hammond non sarà più detenuto per la stessa ragione (dovrà terminare però la sua precedente sentenza).
Vedi anche Wired Italia.
CIA LEAK
Vault 7 in cerca di autore
Ricordate il processo all’ex dipendente della CIA sospettato di aver passato a Wikileaks una serie di documenti e di strumenti usati dall’agenzia per compiere attacchi informatici, ripubblicati poi dall’organizzazione di Julian Assange col nome Vault 7? Ne scrivevo la scorsa volta. Bene, la giuria federale non è arrivata a un verdetto perché le prove contro l’uomo, Joshua Schulte, sono molto labili, e più legate ai suoi comportamenti. Ma manca la pistola fumante, nonché le “impronte” informatiche del delitto, diciamo così.
Gizmodo
LETTURE
Un appello di Tim Berners-Lee a favore di una maggiore partecipazione delle donne online e nelle tecnologie che plasmeranno il nostro futuro.
Web Foundation
ASCOLTO
Oggi inauguro Storie di Rete, una breve storia audio per avvicinare anche i non esperti ai temi cyber. Qui parlo dei ransomware e del loro inventore.
Storie di rete -1: L'inventore dei ransomware
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